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Verifiche N.3, 2023 - Questioni di formazione e d’identità

Nel 2011, la nostra rivista si è occupata del DFA, con un numero speciale di approfondimento. È trascorso più di un decennio da allora, quindi torniamo a occuparci di un tema cruciale quale quello della formazione del docente e della sua identità professionale, così come viene offerta e gestita dal Dipartimento di Formazione e Apprendimento di Locarno.

«Questioni di formazione e d’identità» di Roberto Salek

Avendo svolto per molti anni il ruolo di docente di pratica professionale (Dpp), ho avuto modo di conoscere tanti studenti in formazione per l’abilitazione all’insegnamento e molti formatori del DFA, dalla sua fondazione sino all’anno precedente alla pandemia. La mia esperienza mi porta a confrontare i dati del 2011 con ciò che è possibile rilevare oggi sull’argomento, concentrando in questo breve scritto, l’attenzione su alcune problematiche cruciali già emerse allora e tutt’ora irrisolte.

La prima questione riguarda l’identità professionale del docente e l’idea intorno alla quale si selezionano e preparano i candidati al ruolo d’insegnante. Il problema principale, in questo caso, consiste nel fatto che non esiste alcun modello di riferimento, nel senso che non esiste una carta d’identità comune alla quale ispirarsi. Si è tentato di stabilirne una, con un gruppo di lavoro coadiuvato dal professor Fabio Camponovo, che dopo averla allestita e presentata al DECS, a fronte di un lungo lavoro condiviso affinché diven- tasse operativa, l’ha vista sparire nel dimenticatoio e non se ne è più saputo nulla.

Su questo argomento vige una dicotomia irrisolta tra due opposte visioni: quella dell’insegnante quale persona di cultura e modello autorevole, e quella in cui si preferisce un insegnante quale tecnico della trasmissione di competenze a prescindere dal livello culturale espresso. Visto che il DECS ha appaltato ad un ente esterno la selezione e la formazione dei suoi do- centi, la mancanza di un modello ideale condiviso risulta essere un problema ancora maggiore, perché ha come conseguenza, quella di evidenziare criticità e contraddizioni, nelle scelte operate, sia nella selezione dei candidati da formare, che nei modelli formativi proposti. Inoltre, considerato che il DFA è un istituto privato gestito dalla SUPSI, che si occupa di selezionare i candidati per un servizio pubbli- co, potrebbe verificarsi l’ipotesi di un conflitto d’interesse. Certamente, se fosse rimasto in auge il vecchio modello di selezione tramite le lezioni di prova, supervisionate da un Direttore e da un esperto di materia, ben radica- ti nella realtà della scuola, alcuni candidati che ho ricevuto in formazione non sarebbero mai stati selezionati e di conseguenza nemmeno formati, con grande risparmio di tempo, di risorse e di energie, per non parlare del disagio causato agli allievi, che sono i primi a subire le conseguenze di que- ste scelte.

La mancanza di un modello esplicito e chiaro della figura professionale dell’insegnante da parte del DFA e del DECS dà luogo a visioni e interpretazioni del ruolo, che sfociano poi in of- ferte formative poco aderenti alla realtà effettuale dell’insegnante. Questa problematica era già stata evidenziata nell’indagine del numero del 2011, sia da parte degli studenti che di alcuni formatori: gli studenti lamentavano uno iato tra ciò che apprendevano al DFA e ciò che dovevano poi fare a scuola, oltre al fatto che alcuni corsi a moduli erano ridondanti e di una durata ingiustificata rispetto ai contenuti offerti; mentre alcuni formatori lamentavano poco coinvolgimento tra formatori, studenti, Dpp e ricercatori nelle scelte operate dall’Istituto. Per quanto riguarda la poca aderenza dei moduli e la qualità della formazione lamentata dai docenti in formazione nel 2011, la questione resta ancora oggi un nodo irrisolto, anche se i do- centi in formazione non si esprimono apertamente su questi temi - oggi come ieri - e questo aspetto risulta essere parte del problema.

Per quanto riguarda i formatori non so se la situazione sia cambiata sostan- zialmente da allora. Posso dire per esperienza diretta che il coinvolgi- mento dei Dpp nelle scelte formative operate dal DFA si limitavano a questioni di calendario o di valutazione dei candidati nel corso della loro pratica professionale, altro tema scottante che richiederebbe una trattazione a parte; non si è parlato mai dei conte- nuti dei corsi e dei criteri di selezione. Va detto inoltre che in questo decen- nio trascorso, abbiamo assistito alla scelta sciagurata di abbassare il livello degli studi in entrata nel settore me- dio, dove si richiede il solo titolo di Bachelor anziché di Master per concorre- re all’insegnamento, da completare con i due anni di formazione a Locar- no, così - oltre a rendere ancora più cruciale il ruolo di questo istituto nel processo di costruzione dell’insegnan- te - si è dato un segnale chiaro nel va- lore da attribure al sapere disciplinare rispetto a quello che si attribuisce in- vece alla pratica pedagogica.

Le conseguenze le ho potute verificare attraverso i candidati in abilitazione, che a volte erano carenti sul piano del sapere disciplinare, condizione questa che non permetteva loro di risultare autorevoli con gli allievi e ne riduceva la motivazione con la quale affronta- vano il percorso formativo.

Sarebbe auspicabile oggi poter ragio- nare a carte scoperte sul tema della formazione, con il contributo degli stu- denti in abilitazione, dei formatori, e di tutti gli attori che hanno il compito di costruire l’identità professionale dei futuri docenti, senza reticenze, silenzi e omertà, così come sarebbe auspicabile riprendere il discorso di una carta d’i- dentità del docente: un sestante per la navigazione del DECS e del DFA per migliorare la qualità della formazione e rendere il lungo percorso dei due anni all’istituto di Locarno più aderen- te alla verità effettuale dell’insegnante e meno noioso per gli studenti che lo frequentano.

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