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Editoriale: Se si scassa la cassa

Se venisse accettato il prospettato cambiamento della Cassa pensioni dello Stato, che prevede il passaggio dal primato delle prestazioni a quello dei contributi, rappresenterà una variazione di paradigma nelle condizioni contrattuali di portata devastante. Intendiamoci: nessuno mette in dubbio la necessità di procedere al risanamento delle finanze della Cassa, ma il modello proposto dalla Commissione cantonale ne riversa interamente il peso sui lavoratori attualmente attivi, su quelli futuri e su coloro i quali, dopo aver dedicato la vita professionale all’ente pubblico, pensavano di potersi godere un meritato riposo fruendo tranquillamente delle condizioni dignitose che gli erano state promesse.

Il modello proposto prevede infatti che tutti i rischi derivanti dall’andamento degli investimenti della Cassa siano totalmente a carico degli assicurati, mentre oggi gli stessi vengono ripartiti in modo equo tra datore di lavoro e dipendenti. In questo contesto l’aumento del grado di copertura appare addirittura controproducente, in quanto aumentando i capitali investiti aumenteranno pure i rischi.

 

Molti altri punti sono inaccettabili per i dipendenti e sembrano supportare la convinzione che questa modifica sia dettata soprattutto dall’intenzione di ridurre i costi nel breve periodo piuttosto che dalla volontà di trovare soluzioni condivisibili in quanto eque e socialmente accettabili.

Ad esempio, i beneficiari attuali delle prestazioni della Cassa e gli attivi prossimi alla pensione si vedranno diminuire il valore reale dei loro introiti di percentuali ragguardevoli, dell’ordine del 20-30% a dipendenza dei casi. Questo è dovuto in modo particolare alla volontà di non attribuire il carovita fino a quando questo non raggiungerà il 15% cumulato a partire dal 2012. Ricordo che un taglio pari all’8% sulle rendite è già stato attuato nello scorso decennio.

Anche la mancanza di una garanzia dello Stato in merito ad una resa minima nel tempo del capitale degli assicurati e la scala relativa agli accrediti di vecchiaia non possono lasciare indifferenti, in modo particolare i docenti i quali, a ragione della loro sempre più tardiva entrata nel mondo del lavoro a causa delle aumentate richieste di formazione e di abilitazione alla professione, si vedrebbero di fatto impossibilitati ad aspirare ad un pensionamento anticipato.

Insomma, la revisione della Cassa pensioni dei dipendenti dello Stato così come proposta rappresenta una vera mazzata per i lavoratori e per i pensionati. Questo è dimostrato pure da un raffronto con quanto avviene nel resto della Nazione, dove il modello proposto in Ticino appare decisamente più penalizzante di quanto è offerto ai dipendenti di vari cantoni ed a quelli della Confederazione, avvicinandosi drammaticamente al minimo imposto dalla Legge federale sulla previdenza professionale che rappresenta una soglia veramente bassa.

Il quadro è reso ancora più fosco dalla situazione salariale ticinese: per decenni ci è stato ripetuto che in Ticino gli impiegati cantonali e i docenti avevano sì i salari più bassi del Paese, ma che in compenso godevano di prestazioni pensionistiche d’avanguardia. Ora si intende eliminare anche l’unico vantaggio di cui disponiamo. Dato che le prestazioni post-lavorative sono parte integrante delle condizioni contrattuali, questo equivale a diminuire ulteriormente l’attrattiva delle nostre professioni.

Appare quindi chiaro che la modifica proposta inerente la Cassa pensioni si inserisce nel solco delle misure volte a smantellare la funzionalità dello Stato tanto care ai neoliberisti che, detto per inciso, sono la causa prima dei deficit stessi della Cassa. Altrimenti non si capirebbe la drasticità delle misure contenute nella revisione e, in modo particolare, non ci si spiegherebbe come mai sia stata basata su calcoli effettuati a partire dalla situazione economica peggiore conosciuta a livello planetario dalla grande crisi del ’29: nelle ultime settimane è tutto un fiorire di titoli giornalistici che, riferendosi alla ripresa economica in atto, ne sottolineano gli effetti benefici sui conti delle casse pensioni pubbliche e private.

E, soprattutto, da pubblico dipendente e da docente, non riesco veramente a digerire questa ennesima richiesta di sacrificio quando, contemporaneamente, il capo del Dipartimento delle Finanze si accinge a proporre un nuovo pacchetto di sgravi fiscali dell’ordine delle decine di milioni di franchi, pacchetto che genererà ulteriori richieste di sacrifici ai pubblici dipendenti ed una nuova pioggia di tagli che toccheranno scelleratamente anche la scuola pubblica ticinese. Questo quando da parte sindacale si rivendica la necessità e l’urgenza di miglioramento delle condizioni di impiego e l’aumento delle risorse messe a disposizione del settore della formazione.

Adriano Merlini